mercoledì 11 novembre 2015

Linea 77 a Riserva Indie // Ecco l'intervista di Flavia prima del live al Theremin di Massa il 06-11-2015

Ecco l'intervista che Dade e Nitto dei Linea 77 hanno concesso a Riserva Indie in occasione del loro live al Theremin di Massa lo scorso 6 Novembre.
A quale domanda non vorreste più rispondere e cosa, invece, pensate non vi chiedano abbastanza, a quale domanda vorreste rispondere?
Al futuro della musica italiana, tanto è impossibile da conoscere, ma questo ovunque, anche fuori dall’Italia. Una domanda a cui vorremmo rispondere.. Non ce n’è una, ci piacerebbero le interviste lunghe, seduti davanti a un bel caminetto con una bella bottiglia di vino, ma non succede mai!

Questo nuovo disco “Oh!” è una decisione di un percorso da seguire o è stato gettato dall’impulso?
È stata completamente una questione di impulsi, d’istinto puro. Per la prima volta potevamo non chiederci che cosa fare. Abbiamo potuto permetterci di provare, di trovarci in saletta e vivere un clima tranquillo all’interno della band, quindi suonare tranquillamente e di colpo è uscito questo disco che è venuto fuori in maniera molto libera, senza sovrastrutture mentali, senza troppi pensieri. Probabilmente prima stavamo diventando troppo cervellotici, eravamo un po’ affogati da noi stessi, dal chiederci ‘chi stiamo diventando, dove stiamo andando, perché e quanto stiamo andando?’

Il nome del disco “Oh!” – che a me è piaciuto molto – poteva essere l’Oh dello stupore, ma poteva essere deviato anche in ogni altra forma.
Sì, era l’Oh del rendersi conto di “in che situazione siamo”, oppure l’Oh di stupore, è voluto, comunque, questo doppio gioco. Vogliamo sempre creare quella sorta di dualità nel significato delle cose, soprattutto nelle copertine. Alice ci stava benissimo, perché rendeva l’idea di questo mondo fatato che poteva essere quello di Alice nel paese delle meraviglie, ma con un contrasto di fondo che era ciò che c’era all’interno del disco, la musica che non era tranquilla e solare. Questi tipi di contrasti ci piacciono sempre.

Per ricollegarsi allo stupore, cos’è ciò che riesce a “scandalizzarvi” del fatto che non ci si stupisca più, visto che siamo talmente inondati di notizie che a un certo punto diventa tutto normale, non ci si stupisce più di niente.
È proprio questo che ci scandalizza, è esattamente questo pensiero che hai appena fatto che ci scandalizza e che ci disgusta a tal punto che siamo riusciti a scrivere un disco. I Linea sono nati quando eravamo sedicenni, per buttare fuori la rabbia repressa e quelle robe che hai a sedici anni, adesso ne abbiamo quaranta, non ce l’abbiamo più quella roba lì, abbiamo altro. 
I Linea è un po’ come se fossero una terapia per noi, quindi dobbiamo sentirci male, nel senso che se fossimo presi bene probabilmente non suoneremmo questa musica, presi singolarmente, se ci vivi, siamo persone anche solari, ma come Linea dobbiamo sentire il dolore, la frustrazione, la rabbia, il disgusto e quindi senza troppa fatica ci guardiamo intorno, lo troviamo e scriviamo i dischi. È proprio il fatto di vedere ormai che in questa società non ci si scandalizza più di niente e che, anche se tu non lo chiedi, comunque nella tua bacheca di facebook o dei tuoi social network ti arrivano continuamente informazioni disgustose, che non hai chiesto, è un po’ uno stupro. È un po’ come se ti violassero ogni giorno. Però c’è anche un po’ quel masochismo dell’ “allora perché non te ne vai da facebook?” Perché in fondo forse lo vuoi vedere.

Un po’ come un incidente stradale, tu non vuoi guardare ma alla fine rallenti e dai un’occhiata..
Esattamente, è quella sensazione lì.

Per restare su internet, come vivete la situazione della musica liquida, questa facilità di trovare tutto e subito, perché voi avete iniziato la vostra storia musicale parecchia anni fa, la scena era decisamente diversa.
Io personalmente [Dade, ndr] non la vivo più, nel senso che non me ne interesso e, se devo dire la verità, che sembra pure brutto, non mi interessa nemmeno più la mia di musica, dove vada a finire. A me interessa solo farla, poi che ci siano dieci persone o diecimila che l’ascoltano, non interessa. Come hai detto tu, la musica è liquida, ti sfugge di mano, e questa forse è la parte positiva, la facilità di arrivare ovunque, subito, con un click, ok, ma la parte negativa è che sei veramente inondato di cose, non hai più nemmeno il tempo per appassionarti a un gruppo che subito ce ne sono altri quindici che ti arrivano contemporaneamente, e non solo, nel momento in cui la tua musica esce, si disperde. Poi le visualizzazioni, tutte cazzate! Ci sono artisti che fanno milioni di visualizzazioni, poi li vedi dal vivo e fanno venti persone. È impossibile da controllare ed è stupido controllarla, la musica del 2015.
La registrazione invece com’è stata? Dove avete registrato?
Abbiamo registrato nei nostri sudi a Torino, che avevamo sempre usato per registrare i provini, per poi  registrare da altre parti. Da Oh! e da La speranza è una trappola, abbiamo deciso di fare tutto lì con dei collaboratori di fiducia. I tempi si dilatavano poi, perché appena hai il tuo studio fai duecentomila cose in più, prove…

Il risultato finale vi soddisfa?
Sì, direi di sì, nei limiti del possibile siamo soddisfatti, è un po’ come chiedere a un pittore se il quadro è finito, il quadro non è mai finito… Però siamo soddisfatti.

È sempre stimolante la vita di studio, nonostante gli anni di esperienza che avete passato, o la vivete con una sorta di professionalità che appiattisce?
Il tempo cambia anche la visione, io ad esempio [Nitto, ndr] ho sempre odiato lo studio, però negli ultimi dischi che abbiamo fatto mi piace moto di più, magari è una cosa che ti cambia anche dentro. Quando non hai nessuno che ti dice “devi finire domani!” è bellissimo, quando hai un mese e devi finire è stressante, creativamente è la morte dell’arte. Quando hai la possibilità di farti venire le cose quando arrivano, cioè quando hai uno studio tuo, è figo.

Come vi sembra la situazione della scena indipendente, com’è quella torinese?
A Torino ci sono tantissime realtà, ma non solo a Torino, la scena indipendente è sempre più grossa, tanto che addirittura nomi come x-factor, stanno cominciando a pescare da quella roba lì, Sara Loreni ad esempio, e fa piacere perché ci si rende finalmente conto che la vera musica sta nel sottobosco. 
A Torino ci sono un sacco di realtà, noi abbiamo anche formato un’etichetta che si chiama INRI e cerchiamo di produrre più realtà possibili o almeno quelle che ci colpiscono. Sinceramente non mi aspettavo che avessimo una crescita così grossa in quattro anni. E continuano ad arrivarci un sacco di demo di roba interessantissima, di quelle che quando ti arrivano devi per forza pubblicarle.

Cosa vi ascoltate a fine concerto quando siete in furgone? Ascoltate qualcosa o preferite il silenzio totale?
Io [Nitto] vorrei il silenzio totale, ché c’ho le orecchie che fischiano, ma in furgone di solito il silenzio totale non c’è mai, è impossibile, però non c’è neanche musica. La regola è che durante il viaggio, di giorno, la musica la sceglie chi sta davanti, il problema è che stanno davanti sempre i soliti tre, quindi ascoltiamo sempre quello che decidono loro, che di solito è ultra metal.

Avete qualche progetto che ci volete suggerire, che magari è in uscita per la vostra etichetta?
Sta per uscire un disco fenomenale, loro si chiamano Stanley Rubik, sono di Roma, sono in tre e dalle prossime date verranno con noi a suonare, usciranno per INRI e sono fantastici, la prima canzone dell’album per me [Dade] è uno dei migliori pezzi degli ultimi cinque anni, anche come disco, ma quella canzone, che si chiama “Cado”, è spettacolare. Poi ci sono anche tantissime altre cose nuove.

È stimolante portare avanti un’etichetta? Vi mettete alla prova con nuovi contesti, seguire band, non essere invadenti ma comunque lasciare una traccia, dev’essere difficile gestire un’etichetta..
Abbastanza, dargli un’identità è la cosa più difficile, anche perché se tu fai un’etichetta, chessò, black metal, fai quello, è facile. INRI ad esempio ha i Linea, Stanley Rubik, Bianco, Levante, Cyborgs, quindi facciamo blues, hard rock, hardcore, cantautorato.. C’è un po’ di tutto.


Intervista di Flavia in collaborazione con Alessandro Hicks.

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